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Verità rubate:
l'arte della contraffazione

Benvenuti!

La Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova ti danno il benvenuto all’interno del percorso “Verità rubate. L’arte della contraffazione” curato da Luca Zamparo, Monica Baggio e Monica Salvadori. 

All’interno del nostro breve viaggio nel mondo della falsificazione troverai oggetti autentici e imitazioni del mondo antico: saprai riconoscere gli originali dai falsi? 

Le soluzioni verranno date alla fine della nostra visita insieme!

Che cos’è il falso?

Il fenomeno della falsificazione delle opere d’arte e dei beni culturali è insito nella storia dell’archeologia, della produzione artistica e della stessa storia dell’arte. 

Nella concezione maggiormente diffusa quando si parla di ‘falso’ è implicito riferirsi anche al dolo, definendo così il ‘falso’ solo in presenza di un inganno. Il termine deriva dal latino falsum (“mettere il piede in fallo”, “ingannare”) e ne esprime il significato principale: alterazione parziale o totale del ‘vero’.

Se si considera l’autenticazione come l’operazione con la quale si riconosce come autentico un oggetto e se ne dichiara l’originalità, sul piano opposto si muove la falsificazione, ossia l’operazione mentale, artificiale e manuale con la quale si progetta, crea o elabora un artifizio tecnico per far sembrare un oggetto ciò che in realtà non potrà mai essere. 

Così si giunge a definire un ‘falso’ come un manufatto generato e voluto dalla mente umana, che implica un processo produttivo basato più evolute capacità tecniche e formali e che si colloca in uno specifico contesto sociale ed economico, rappresentando le mode e i gusti attivi nel determinato momento della sua realizzazione.

Nella nostra prima teca sono esposti due vasi da pesce:
se entrambi fossero originali risalirebbero al IV secolo a.C. e rappresenterebbero la produzione apula a figure rosse. 


Secondo te, quali sono gli elementi per identificare il manufatto falso?

La diffusione degli oggetti falsi

L’oggetto falsamente creato è legato, in passato come oggi, alla legge economica della domanda e dell’offerta e risponde al desiderio di possedere qualcosa che si brama, al fine di un proprio compiacimento e riconoscimento personale, tipico dei collezionisti di ogni tempo. 

D’altra parte, il falso è l’emblema della capacità imitativa intesa, da taluni, come virtù, oltre che come eterna manifestazione del rapporto costante delle società (moderne e contemporanee) con l’Antichità. Il tutto, attraverso il commercio, entra anche nei musei e nell’immaginario collettivo, incapace ancora oggi di riconoscere l’inganno. 

Proprio per il suo fine ingannevole, l’opera falsa è come la bugia che possiede la capacità di trovare sempre qualcuno pronto a crederle. 

In questa seconda teca sono esposti diversi manufatti ceramici nello stile di Gnathia, una produzione semplice che si diffonde prevalentemente in Italia meridionale fra il IV e il III secolo a.C.: i vasi autentici qui esposti provengono dalla Collezione Merlin esposta a pochi metri da qui nel Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte di Palazzo Liviano mentre gli altri oggetti fanno parte della Collezione didattica del Dipartimento dei Beni Culturali.

Sono tutti uguali questi oggetti?

La produzione ceramica nel mondo antico

Alcuni dei vasi presentati sono stati realizzati tra il V e il III secolo a.C. in Grecia e in Italia Meridionale (Magna Grecia). L’elemento principale che accomuna gli oggetti originali e falsi è la materia con cui sono stati creati, l’argilla, particolarmente adatta per essere modellata e decorata. Essa risulta facile da reperire e il procedimento per realizzare un vaso non era particolarmente complesso neanche nel mondo antico.

La produzione ceramica parte da lontano ma molte informazioni giungono a noi soprattutto dal mondo greco anche se non conosciamo nulla di preciso sull’organizzazione di una bottega vascolare: essa doveva essere parte dell’abitazione stessa del vasaio e la sua conduzione doveva essere di tipo familiare, con la presenza di una struttura gerarchica, al vertice della quale c’era un maestro, coadiuvato da apprendisti. Due erano le figure professionali più importanti: il vasaio, che realizzava il vaso, e il ceramografo o pittore, che lo dipingeva.

Qui sono presentati due manufatti che differiscono per le dimensioni ma… quanti elementi hanno in comune?

Il manufatto originale è un’anfora panatenaica apula a figure rosse con una scena, sul lato principale, di offerta presso un’edicola funeraria. 

L’interesse per i vasi antichi

La passione per i vasi antichi ha attraversato i secoli dal Rinascimento sino ai nostri giorni.

Per quanto la ceramica antica fosse presente già in alcune collezioni del Cinquecento e del Seicento, fu durante il secolo successivo, grazie alle scoperte di Ercolano e Pompei e alla nuova attenzione verso il mondo antico, che si diffuse l’interesse per i vasi figurati presso regnanti e importanti famiglie aristocratiche non solo locali. 

Questo interesse internazionale rappresentò il vero e proprio inizio del mercato dell’arte per come lo conosciamo oggi. I collezionisti volevano possedere un ricordo di quei tempi passati e non sempre i mercanti riuscivano ad accontentare le innumerevoli richieste.

La soluzione fu facilmente trovata: moltissime manifatture in Francia, Inghilterra e nei Regni italiani iniziarono a rielaborare gli schemi e le immagini antiche, creando nuovi oggetti, copie o imitazioni. Questa produzione non si ferma mai ed è ancora fortemente attiva. 

Se le copie e le imitazioni si dichiarano come tali rispetto all’originale a cui si riferiscono, i falsi sono oggetti che ingannano il fruitore, impossessandosi di una storia che non appartiene loro. Tant’è che chiunque crei degli oggetti falsi, al fine di ottenere un profitto, è perseguibile dalla legge.

Anche in questa teca sono esposti due manufatti quasi identici, due crateri a volute a figure rosse. Uno proviene dalla Collezione Intesa Sanpaolo esposta presso le Gallerie d’Italia di Napoli mentre l’altro fa parte del patrimonio dell’Ateneo patavino.

Tutto ciò che vediamo nei musei è vero?

La storia dei musei è ormai particolarmente lunga e molti di essi conservano collezioni create nel corso dei secoli. Come abbiamo visto, però, il falso non è un fenomeno solamente recente e, spesso, nelle diverse raccolte museali possono celarsi alcuni oggetti acquisiti incautamente nel tempo e che ingannano la realtà. 

Le stime più preoccupanti giungono a dire che fino al 30-40% degli oggetti conservati nei musei sia falso mentre altri studi, ritenuti più realistici, riportano questo numero attorno al 10-15%. 

Fortunatamente la ricerca non si ferma mai e le analisi su molti manufatti devono ancora essere avviate o sono tuttora in corso. 

Un caso interessante proviene proprio dal Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte dell’Università: il manufatto n. 15 dovrebbe essere un lebes gamikos attico a figure rosse. Esso è stato recentemente oggetto di approfondimenti per alcune sue caratteristiche (dalla resa superficiale del rivestimento alla decorazione raramente riferita a oggetti simili) che pongono diverse domande sulla sua autenticità. 

Accanto troviamo invece l’esemplare pseudo-apulo sempre a figure rosse proveniente dalla Collezione Marchetti, oggetto di studi dal 2015 a oggi.

Questione di dettagli

Negli ultimi anni, il connubio fra la diagnostica umanistica e le analisi tecnologico-scientifiche ha permesso di sviluppare innovativi approcci e protocolli operativi: basandosi sull’analisi formale, stilistica, compositiva, cronologica, epigrafica e decorativa, i falsi possono essere oggi rivelati. Le dimensioni, la forma, i colori, la resa grafica, l’attenzione ai dettagli, la costruzione delle immagini raffigurate e la coerenza fra le singole parti e il tutto sono gli elementi fondamentali da tenere in considerazione.

Quanti oggetti falsi pensi di aver individuato fino adesso? 

Prima di darti alla lettura, davanti a te puoi trovare la pelike apula a figure rosse della Collezione Merlin conservata al Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte: questo vaso è datato alla fine del IV secolo a.C. ed è riccamente decorato con una scena di corteggiamento amoroso. Il manufatto originale, in questo caso, è il modello di partenza per una riproduzione contemporanea, realizzata attraverso le tecniche di manifattura additiva, ossia grazie ad un rilievo 3D computerizzato. Questo secondo oggetto viene oggi utilizzato per scopi di didattica museale, mettendo così la ricerca scientifica al servizio di tutti i visitatori e le visitatrici. 

Questione di metodo

Un professionista della cultura chiamato a esprimersi sull’autenticità di un manufatto deve effettuare un complesso processo di studio e ricerca che prevede tre diverse tipologie di approfondimenti: le analisi documentali sulla provenienza dell’oggetto, le analisi visuali tecnico-formali e, infine, le analisi tecnologico-scientifiche. 

Se le prime si concentrano sulla ricostruzione della storia del manufatto dal suo rinvenimento ai giorni nostri, seguendo i suoi possessi e trasferimenti, le analisi visuali tecnico-formali comprendono lo studio dell’oggetto dalla sua realizzazione alla sua dispersione o deposizione. A queste analisi seguono, eventualmente, gli esami multidisciplinari che possono determinare l’eventuale non autenticità mediante la verifica della presenza o assenza di particolari componenti, l’accertamento della datazione, il controllo dei metodi produttivi e la valutazione dei profili conservativi.

In questo caso abbiamo due vasi italioti decorati con una figura plastica alata a sua volta decorata con sovraddipinture policrome. 

Questi manufatti sono stati analizzati da una equipe multidisciplinare che ha evidenziato l’autenticità del manufatto n. 17 mentre ha sollevato diversi dubbi sull’esemplare n. 18: i pigmenti utilizzati su quest’ultimo non sono risultati compatibili con quelli diffusi nel mondo antico. 

Questo secondo oggetto è completamente falso oppure i colori sono stati aggiunti in tempi moderni su un vaso autentico per aumentarne il valore durante la vendita?

Siamo giunti alla fine!

L’ultimo vaso presente in questa sala è un cratere a campana della bottega del Pittore di Pisticci, un manufatto eccezionale della produzione lucana a figure rosse della fine del V secolo a.C. soprattutto per i suoi richiami al mondo ateniese a cui questa bottega si ispira (e che imita). 

Conservato al Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, questo vaso rappresenta l’emblema dei riti di passaggio dalla giovinezza all’età adulta e, nel nostro contesto, è un richiamo alla stessa evoluzione delle discipline archeologiche, storiche e artistiche negli ultimi secoli e della lunga strada che ancora devono compiere per cercare di rispondere alle domande che quotidianamente la società si pone. 

Dopo questo percorso fatto insieme, siamo sicuri che non mancherà mai questo quesito: quello che sto guardando, è vero o falso? 

Soluzioni

  1. Autentico.
    Piatto da pesce apulo a figure rosse attribuito all’Officina del Pittore di Baltimora
     (Collezione Intesa Sanpaolo, n. 104)
  2. Falso. 
    Piatto da pesce pseudo-apulo a figure rosse
    (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 356)
  3. Falso.
    Kylix
    imitante lo stile di Gnathia (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 163)
  4. Autentico.
    Kylix in stile di Gnathia (Collezione Merlin n. 104, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova)
  5. Autentico.
    Skyphos in stile di Gnathia (Collezione Merlin n. 100, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova)
  6. Falso.
    Skyphos imitante lo stile di Gnathia (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 116)
  7. Falso.
    Lekythos imitante lo stile di Gnathia (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 249)
  8. Autentico.
    Stamnos in stile di Gnathia attribuibile al Gruppo Dunedin (Collezione Merlin n. 107, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova)
  9. Autentico.
    Anfora panatenaica apula a figure rosse attribuita al Pittore H.A. (Collezione Intesa Sanpaolo, n. 132)
  10. Falso.
    Anfora panatenaica pseudo-apula a figure rosse (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 345)
  1. Autentico.
    Cratere a volute apulo a figure rosse attribuito al Pittore della Patera (Collezione Intesa Sanpaolo, n. 116)
  2. Falso.
    Cratere a volute pseudo-apulo a figure rosse (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 340)
  3. Autentico.
    Pelike apula a figure rosse (Collezione Merlin n. 39, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova)
  4. Riproduzione tattile
  5. Dubbio (?)
    Lebes gamikos attico (?) a figure rosse (Collezione Merlin n. 36, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova)
  6. Falso.
    Lebes gamikos pseudo-apulo a figure rosse (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 346)
  7. Autentico.
    Vaso italiota (canosino) con raffigurazione plastica alata e sovraddipinture policrome (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 88)
  8. Dubbio (?)
    Vaso italiota (canosino) con raffigurazione plastica alata e sovraddipinture policrome (Collezione Avv. Marchetti, Università di Padova, n. 96)
  9. Autentico.
    Cratere lucano a campana attribuito alla bottega del Pittore di Pisticci (Collezione Merlin n. 35, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova)

Credits

Verità rubate. L’arte della contraffazione

a cura di
Luca Zamparo, Monica Salvadori, Monica Baggio

un progetto del
Dipartimento dei Beni Culturali
Università degli Studi di Padova

con il contributo della
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo

Sito web
Claudia Cimaglia, Aesthetes s.r.l

Contenuti multimediali
Uber Mancin
Interpretariato LIS
Chiara Sipione

Apparato fotografico
Giovanni Federici

Ringraziamenti

Per la concessione del materiale esposto e la collaborazione:

– Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia di Napoli

– Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università degli Studi di Padova

Per la gestione amministrativa e autorizzativa:

– Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso

– Centro d’Ateneo per i Musei, Università degli Studi di Padova

– Dipartimento dei Beni Culturali, Università degli Studi di Padova

Un progetto di
Con la collaborazione e il supporto di
L’iniziativa rientra all’interno delle attività del progetto

From Authenticity to Art (FATA): Italian Database of Forgeries.
Multi-tier Strategies to Protect Cultural Heritage: Research, Cataloging, and Digitization of Forgeries

“Il Progetto FATA è sostenuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Bando relativo allo scorrimento delle graduatorie finali del bando PRIN 2022”